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La California a secco

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‘Stamattina non mi sono fatto la doccia’, ‘L’idea del vostro praticello annaffiato ogni giorno è cosa del passato’. Le parole del settantasettenne governatore della California, Jerry Brown, danno il segno della gravissima siccità e crisi idrica che ormai dal 2011 attanagliano lo stato di Los Angeles e San Francisco. Lo scorso Aprile Brown è arrivato addirittura a misure necessarie come l’obbligo per tutti i cittadini di ridurre del 25% i consumi di acqua. Anche se il taglio non riguarda il settore agricolo, settore che utilizza l’80% delle risorse idriche dello stato, la riduzione forzata dei consumi (sono previste multe) era l’unica soluzione possibile: già un anno fa era stato chiesto alla cittadinanza di tagliare volontariamente i propri consumi di acqua del 20%. Questa lunghissima crisi idrica nasce da ultimi anni di precipitazioni invernali pressoché inesistenti (scarsissime quelle nevose, fondamentali per una fornitura d’acqua a lungo periodo) ma anche dalla dipendenza di sette stati dell’Ovest da un’unica fonte di acqua: il fiume Colorado. Il 70% della popolazione di Wyoming, Colorado, Utah, New Mexico, Nevada, Arizona e California fa affidamento sul Colorado per soddisfare la domanda interna di acqua. Nel 1922 questi sette stati, ossia gli stati lungo il bacino del fiume, sottoscrissero un patto per spartirsi l’acqua. Il problema è che all’epoca sovrastimarono la portata del fiume e soprattutto non considerarono la crescita economica che ebbe la California e il sud Ovest degli USA in generale nei decenni seguenti. Tra sprechi durante il prelevamento dell’acqua e decine di dighe costruite per alimentare un’economia e una popolazione in costante crescita negli ultimi 15 anni i nodi stanno venendo al pettine. Il 2014 è stato l’anno più caldo in California da quando si registrano le temperature, il fiume dalla cui acqua dipende il 15% delle scorte alimentari degli Stati Uniti sta morendo e le soluzioni alla crisi idrica sembrano lontane. Ai danni economici (uno studio della UC Davis calcola che la scarsità di acqua costerà all’economia californiana 2,7 miliardi solo nel 2015), si sommano gli effetti che questa situazione ha su fauna e flora: sono a rischio popolazioni di anatre e oche e ci potrebbero essere ripercussioni serie anche per quanto riguarda il ‘Joshua tree’, albero tipico dei deserti del sud-ovest degli Stati Uniti. Senza considerare poi i problemi legati agli incendi, ormai sempre più frequenti e devastanti. In tutto questo il paradosso è che la California è uno stato in continua crescita: dopo la crisi l’economia è ripartita, la popolazione continua a crescere, le città si espandono e pullulano di progetti e soldi. Se la California fosse uno stato a sé sarebbe la settima economia mondiale. In definitiva in California c’è tutto tranne l’acqua. La sua scarsità ormai cronica impone ai governanti scelte impopolari e ai cittadini cambiamenti radicali nello stile di vita. La transizione verso un nuovo modello di sviluppo può avvenire in modo violento oppure come scelta volontaria. Le opzioni sono queste. Forse vale la pena farsi una doccia in meno?

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Tu da che parte stai?

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‘Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li ha costruiti rubando?’. Era la domanda semplicistica ma efficace che poneva De Gregori in una canzone di qualche anno fa. Prima delle elezioni politiche del 2013 i cittadini di questo paese avevano un nemico ben preciso: la casta politica. Era evidente che la protesta contro chi ha governato male questo paese per vent’anni era molto confusa e tendeva a generalizzare in modo anche pericoloso. Ma perlomeno, come accadde già dopo Tangentopoli, sembrava che la crisi economica avesse contribuito a convincere gli italiani che fosse necessario un risveglio morale dopo anni in cui della moralità non era fregato nulla a nessuno. In questo c’è da ammettere che il Movimento 5 Stelle, pur con limiti evidenti, ha svolto un compito importante nello ‘spronare’ la classe politica a un cambiamento, che poi cambiamento non è stato. L’ascesa di Renzi è stata frutto, oltre che delle capacità dell’ex sindaco di Firenze, anche della forza sempre maggiore del movimento fondato da Beppe Grillo. La ‘gente’ stava dalla parte di chi ruba nei supermercati, contro chi li costruisce rubando. Ma è bastato pochissimo perché tutto cambiasse: Renzi è diventato segretario del PD e poi Presidente del Consiglio, Salvini è stato eletto segretario della Lega Nord. La grande fiducia ricevuta da Renzi alle elezioni europee del 2014 ha certificato il fatto che il vento stava di nuovo cambiando, che tutto sommato ai cittadini italiani serviva semplicemente una faccia più giovane e più presentabile di Berlusconi. Chi non era di sinistra si è ritrovato un po’ spaesato, vedendo che il vecchio leader di Forza Italia non aveva più alcuna intenzione di dare battaglia. A questo punto il nuovo leader della destra italiana, Matteo Salvini, ha dato il contributo finale per salvare chi ha fallito nel governare l’Italia: ha trovato un ‘nuovo’ nemico. In realtà questi nemici nuovi non sono ma sono sempre gli stessi da secoli: zingari e immigrati. I talk show, in crisi di ascolti e di contenuti, non ci hanno pensato su due volte e hanno deciso, mascherando questa precisa scelta come una ‘necessità di far comprendere un fenomeno che sta crescendo’, di invitare il leader della Lega a ogni ora del giorno e della notte. Lega che tra l’altro, stando ai risultati delle Europee del 2014 (6%) e fingendo che il giornalismo sia semplicemente comunicazione politica regolata dalla legge sulla par condicio, dovrebbe avere meno spazio di Pd, Movimento 5 Stelle e Forza Italia. Un giornalista di Rete 4 è arrivato addirittura a pagare un rom perché fingesse di ammettere di aver commesso reati e di non fare altro dalla mattina alla sera. Ovviamente nessuno può negare che nelle periferie i problemi legati alla sicurezza e all’ordine pubblico siano anche in parte legati alla presenza dei campi rom o che l’arrivo di troppi profughi potrebbe essere insostenibile per l’Italia, ma qui si sta parlando di un’altra cosa: si parla di razzismo vero e proprio. Se aprendo un libro di storia sul ventennio fascista leggessimo un caso come quello del giornalista di Rete 4 riferito a un ebreo reagiremmo probabilmente tutti in modo molto indignato. Le regionali saranno importanti per valutare quanto questo sia un fenomeno reale o solo televisivo e da social network. E’ però possibile che la ‘gente’ abbia ricominciato a essere contro chi ruba nei supermercati, dimenticandosi di chi li ha costruiti rubando. Ricomincia la guerra tra poveri, la caccia a quello ancora più sfigato. E tu, da che parte stai?

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Keith Richards e gli scout

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“Che ci crediate o no, l’essermi unito ai boy scout fu una delle cose più belle che abbia fatto in quegli anni. Il leader del movimento, Baden Powell, un uomo affabile e  dotato di grande sensibilità per le attività che piacevano ai ragazzi, era sinceramente convinto che senza gli scout l’Impero britannico sarebbe crollato.Fu allora che entrai in scena, in qualità di membro del Settimo reparto scout di Dartford, Reparto esploratori, malgrado l’Impero mostrasse evidenti segni di cedimento per motivi che nulla avevano a che fare con la personalità degli adolescenti o l’intreccio dei nodi. La mia incursione nello scoutismo dev’essere avvenuta prima che la chitarra prendesse il sopravvento -o forse prima che ne possedessi una- perchè quando comincia a suonare seriamente, quello diventò per me un altro mondo.

Era un’altra cosa rispetto alla musica. Volendo conoscere le tecniche di sopravvivenza, mi ero letto tutti i libri di Baden-Powell, e ora dovevo impararmi una quantità di trucchetti. Come determinare la mia posizione, come cuocere qualcosa sottoterra. Per qualche ragione, sentivo il bisogno di padroneggiare quelle tecniche e ritenevo importante studiarle. Avevo già piantato una tenda nel cortile dietro casa, dove sedevo per delle ore a mangiare patate crude e altri ortaggi. Come spennare il pollame. Come svuotare un animale delle interiora. Quali parti lasciare intatte e quali recidere. Se tenere o meno la pelle. Un bel paio di guanti? Una sorta di addestramento in scala ridotta per lo Special Air Service. Ma era più che altro un’occasione per camminare impettiti con un coltello in cintura. Per molti di noi l’attrattiva era quella. Il coltello, però, te lo davano solo quando ti eri guadagnato dei distintivi.

Il reparto esploratori aveva un proprio capannone, la rimessa da giardino inutilizzata del padre di uno dei ragazzi, che noi avevamo rilevato per farne il luogo delle nostre riunioni di programmazione. Tu sei bravo in questo, tu sei bravo in quello. Ci mettevamo comodi, chiacchieravamo e fumavamo sigarette, oppure andavamo in gita a Bexleyheath o Sevenoaks. Il capo scout, Bass, era la nostra guida, e allora sembrava un vecchiaccio, anche se probabilmente aveva appena vent’anni. Era molto abile nel trasmettere entusiasmo. Diceva ‘Va bene, questa sera facciamo pratica coi nodi. Nodo margherita, gassa d’amante, gassa d’amante scorsoia’. Dovevo esercitarmi a casa. Come appiccare il fuoco senza fiammiferi. Come allestire un forno, come accendere un fuoco senza fumo. Mi allenavo tutta la settimana, in cortile. Sfregare due stecchi l’uno contro l’altro, non c’è verso. Non in quel clima. Potrebbe funzionare in Africa, forse, o in altre località meno umide. Di fatto, non restava altra scelta che la lente d’ingrandimento con i rametti secchi. Finchè, dopo pochi mesi non mi ritrovai d’un tratto con quattro o cinque distintivi, promosso a vicecapo di Reparto! Ero ricoperto di mostrine, incredibile! Non so dove sia la mia camicia, adesso, ma è tutta decorata di galloni, nastri e distintivi di ogni tipo. Come se fossi un fissato del bondage.

Tutto questo, e in particolare la promozione così rapida, mi infuse coraggio in un momento chiave, subito dopo l’allontanamento dal coro. Credo che il periodo trascorso negli scout sia stato più importante di quanto non abbia mai realizzato. Avevo una buona squadra. Conoscevo i miei ragazzi ed eravamo uniti. Quanto a disciplina eravamo un po’ carenti, devo ammetterlo, ma quando ci veniva assegnato un compito lo portavamo a termine. Partecipammo a un grande campo estivo a Crowborough. Avevamo appena vinto la gara di costruzione di ponti. Quella notte bevemmo whisky, e nella tenda circolare scoppiò una rissa. C’era buio pesto, niente luci, tutti barcollavano e danneggiavano cose, soprattutto se stessi,. Fu urtando contro il paletto della tenda, nel cuore della notte, che mi ruppi il mio primo osso.

L’unica volta in cui feci pesare la mia autorità coincise con la fine della mia carriera negli scout. Mi avevano affidato un novellino, uno stronzetto che non andava d’accordo con nessuno. Pensavo:’ Sono a capo di un reparto d’elite e dovrei fare posto a questo cazzone? Non sono qui per pulire il moccio a nessuno. Perchè me l’avete appioppato?’. Finchè non combinò qualcosa, e gli mollai un ceffone. Bang, coglione. In men che non si dica, mi ritrovai di fronte alla commissione disciplinare. Ero nei guai. ‘Le guide scout non schiaffeggiano il prossimo’, e fesserie simili.

….”Ero in una stanza d’albergo a San Pietroburgo, in tour con gli Stones, quando mi sorpresi a guardare in tv la cerimonia di commemorazione per il centesimo anniversario della fondazione dei boy scout. Si teneva a Brownsea Island, dove Baden Powell aveva istituito il primo campo scout di sempre. Solo nella stanza, mi alzai in piedi, mi esibii nel saluto a tre dita e dissi: “Vicecapo di Reparto, Reparto esploratori, Settimo Reparto scout di Dartford, signore”. Sentivo il dovere di presentarmi a rapporto”.

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La miseria è la forza del Paese. Longanesi, 1957

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La miseria è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. 

Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. 

Dove essa è sopraffatta dal sopraggiungere del capitalismo, ecco che si assiste alla completa rovina di ogni patrimonio artistico e morale.

Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che l’umilia. La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. 

Perciò quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima.

Leo Longanesi, ‘La sua signora’

Nella foto il paese di Montecanne, in Valle Scrivia.

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Convincere, non costringere

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Il successo di Syriza (come quello parziale di Podemos) ha dimostrato che la sinistra in Europa è ancora capace di elaborare proposte di politica in grado di convincere milioni di elettori. Chi è stato in Grecia ha raccontato di una grande euforia, ma anche di persone che chiedono risposte immediate. Effettivamente il successo di Tsipras è stato così marcato perché, come ormai succede in molti dei paesi europei in difficoltà, l’elettorato è estremamente mobile e la situazione greca di una larga fascia di popolazione è disperata: in definitiva è un ultimo (o primo?) tentativo dei greci di uscire da questa situazione. Il problema viene ora, perché mentre agli altri partiti politici sono stati concessi decenni per portare il paese a questa situazione, Syriza (volendo anche giustamente) ha molto meno tempo per provare a risollevarlo e il suo elettorato non ha possibilità di aspettare anni. La domanda che sorge spontanea è: è necessaria una catastrofe umanitaria come quella che si verifica in Grecia perché un partito alternativo ai partiti conservatori elabori una proposta che convinca la maggioranza? Ovviamente la risposta deve essere no.  E se la risposta è sì tutte le persone di buon senso converranno che sia auspicabile che, parlando dell’Italia, il governo di Matteo Renzi riesca a risollevare l’economia del paese senza che si arrivi alla catastrofe. Altra domanda: ci sono alternative al Partito Democratico? Per il momento si vedono i soliti movimenti di persone sinceramente impegnate e desiderose di protestare e proporre, ma nulla che si avvicini a una proposta unitaria e chiara. Lo scenario che ci appare guardando a sinistra è sempre un ‘sta per nascere qualcosa’, un’ eterna ‘piattaforma delle forze alternative al Pd’, un prepararsi e discutere senza giungere a un qualcosa di concreto che a livello nazionale dia idea di unità e determinazione. Spiace dirlo ma la sinistra, in anni di fallimenti dei governi che si sono succeduti alla guida del nostro paese, ha fallito ugualmente, e per l’ennesima volta. E’ nato il Movimento 5 Stelle, realtà molto positiva sotto alcuni aspetti, è stato permesso che la Lega Nord resuscitasse dopo anni di scandali e di ininfluenza politica, e mentre gli elettori scappavano dai due principali partiti italiani quello che la sinistra è riuscita a fare è stato proporre una lista che prendeva il nome da un leader di partito straniero (per quanto quel leader fosse il candidato alla Presidenza della Commissione è sembrata una mossa discutibile dal punto di vista dell’immagine). Chi cerca di proporre un’alternativa di sinistra agli italiani deve innanzitutto smettere di invitare a ogni occasione possibile Tsipras e Iglesias. Prima di tutto perché avranno anche altro a cui pensare, poi perché non saranno loro a risollevare le sorti del nostro paese. Il titolo di questo articolo è ovviamente provocatorio: nessun partito di sinistra ha mai pensato di costringere gli italiani a votarlo. Però c’è spesso stata la tendenza nei movimenti di sinistra a considerare che le battaglie fatte in difesa di qualcosa o contro provvedimenti  giudicati iniqui (ammesso che queste battaglie siano state fatte) sarebbero bastate a convincere, prima o poi, la maggioranza degli italiani della bontà dei propri progetti. La realtà è che, oltre ad aver perso o non aver combattuto affatto molte di queste battaglie, la maggioranza dei nostri concittadini non sa neanche più se esiste una sinistra (esiste?). Perlomeno ai tempi di Berlusconi venivano in qualche modo indentificati come i ‘comunisti’ e questo era un riconoscimento a opposizione ufficiale al potere. Quando Vendola abbandonò Rifondazione ero convinto avrebbe potuto farcela, ne ero fermamente convinto. Aveva quell’obiettivo lì: una sinistra di governo, credibile e convincente. Ma anche lui ha perso il suo tempo e ora è incapace di farsi da parte nel ‘fin troppo suo’ partito. La domanda che un nuovo soggetto politico di sinistra dovrebbe porsi è: cerchiamo alleanze con partiti più grandi? E questa domanda va fatta subito, perché è dirimente anche nella stesura del programma di governo. E’ assolutamente inutile proporre agli italiani programmi che verranno stravolti dalle alleanze precedenti o successive il voto. Se la risposta alla domanda è sì, non c’è alcun bisogno di creare qualcosa di nuovo, c’è già tutto: si mette insieme una serie di soliti noti da presentare, si aggiunge qualche giovane che dia una rinfrescata e si trova un bel nome tipo ‘L’altra Italia’. Se la risposta è no, invece, quello che va fatto non lo so. Molto probabilmente chi ha fallito in questi anni deve fare un passo indietro. Non si tratta di rottamare, ma di dare una possibilità a persone cresciute con schemi mentali nuovi. Questo non significa diventare i ‘renziani di sinistra’ e rinunciare ai propri ideali. Significa modellare questi ideali in modo che possano attrarre anche persone che non hanno il problema di arrivare alla fine del mese. E’ vero che le persone in difficoltà sono una marea in questo paese ormai, e un partito di sinistra deve avere come obiettivo quelle persone, ma perché una forza di sinistra possa essere incisiva nella risoluzione dei problemi legati alle diseguaglianze c’è bisogno di tutti, anche di chi ha di più. Voglio credere che esista una maggioranza di persone in questo paese disposta a votare un partito che mette la parola ‘solidarietà’ al centro della propria agenda politica. Altrimenti si può puntare ancora una volta sulla lotta di classe, nel 2015. Ma in questo modo si resterà residuali a livello politico. Oppure si dovrà aspettare la catastrofe anche in Italia.

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Expo 2015, Liguria: soldi pubblici per uso privato?

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Della squallida soap opera “treno no-stop Genova >< Milano “per expo 2015 ce ne siamo occupati da almeno 2 anni: clicca qui per rivedere le puntate precedenti.
I protagonisti li conosciamo bene: i braccini corti rappresentati dagli imprenditori turistici liguri, singolari personaggi che intendono il mercato in maniera distorta: ovvero spesa pubblica per ingrassare i loro portafogli. Nessuno di loro si è manifestato disposto ad investire un solo euro per intercettare i milioni di turisti che visiteranno Expo 2015. Ma ognuno di loro, con lingua petulante e braccino corto, protagonisti di un immondo piagnisteo, ahinoi ripreso dai media regionali: “non ci portano gratis i turisti di EXPO”.
E perché mai una collettività dovrebbe attingere a soldi pubblici per fare ingrassare i portafogli di albergatori, ristoratori, baristi, titolari di stabilimenti balneari? Non avrebbe alcun senso e soprattutto nessuna ricaduta né economica né occupazionale per la nostra Regione.
Ma tant’è…
L’Assessore Vesco, malgrado la mole, è abilissimo a compiere piroette di 360 gradi e a smentirsi a girni alterni. Per mesi aveva ripetuto: mai un soldo pubblico per il treno no stop per l’Expo. Ora, probabilmente sollecitato da agenti esterni, ha cambiato idea e, fuori tempo massimo, con soldi pubblici sta pensando di implementare un treno no stop Genova >< Milano il sabato e la domenica.
Lo stato dei trasporti su gomma e su ferro in Liguria è al collasso, aziende di tpl decotte e mal amministrate ma controllate dalla partitocrazia e dal sindacato in una cogestione che è costata milioni di euro ai contribuenti e un servizio degno del quarto mondo, tariffe alte, qualità assente.
A fronte di questa situazione e a fronte di continui tagli ai finanziamenti regionali a treni e bus, ora improvvisamente dal bilancio regionale si vogliono attingere soldi per un treno destinato a far arricchire imprenditori privati che non conoscono né il rischio d’impresa né le regole liberali del mercato e della concorrenza, impenditori che vogliono che gli investimenti siano attuati con soldi pubblici ma che i profitti siano assolutamente privati.
In tutto il mondo dove sono vigenti regole di mercato, i treni speciali, ovvero i charter, sono pre-acquistati da operatori turistici che poi immettono sul mercato stesso pacchetti turistici comprendenti viaggio e soggiorno. In Liguria no, in Liguria si pretenderebbe che i charter ci fossero a babbo, pagati dalla spesa pubblica, ovvero da noi.
Articolo da:    http://genovamilano.blogspot.it/

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I just want to be there when the morning light explodes

 

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settembre 12, 2013 · 12:19 PM

What’s up?

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